Massimo Biliorsi (Drago): “C’è tanta magia nel Palio”

Biliorsi ha scritto molti libri sul rapporto tra magia e il territorio senese.

Il Palio è magico. Certo quello lo sappiamo tutti, ma viene un dubbio. Una domanda marzullesca: è il Palio che è magico o è la magia a fare il Palio? Perché a vedere tutto quello che accade in quei quattro giorni viene da sorridere, visto che tutto è talmente casuale da sembrare preordinato. Per guidarci in questa apparente contraddizione non potevamo che scegliere Massimo Biliorsi. Dragaiolo, giornalista, sceneggiatore ed esperto di musica, coltiva da sempre una passione sfrenata per tutto ciò che è magico e misterioso. Tanto da essere l’autore dei libri più importanti sull’argomento relativi al territorio senese. E non si pensi a un mistico o cose del genere, Biliorsi infatti ha, da vero uomo razionale, la consapevolezza che l’essere umano non può essere l’artefice di tutto ciò che lo circonda e accetta questa condizione.

Quanta magia c’è nel Palio?
«Ce n’è tanta, perché il Palio è un percorso a ostacoli e gran parte di questo “tragitto” è irrazionale. E’ ovvio, quindi, che ci sia il tentativo, da parte di tutti, di far sì che la sorte sia dalla propria parte. In questo modo si evoca la magia, che in sostanza sarebbe una specie di percorso abbreviato per arrivare a una soluzione. Il Palio, per fortuna, non si guarda solo nella sua concretezza, ma si osserva anche attraverso le stelle e il destino. Siccome è un evento così complesso, così variegato, così pieno di “sapori”, è naturale che fare ricorso alla magia sia abbastanza normale e, se vogliamo, legittimo».

C’è qualche episodio di storia paliesca in cui si è manifestata la magia o è stato ritenuto che fosse avvenuto?
«Tutte e dieci le contrade che sono in un Palio giocano anche attraverso la magia. Di episodi ce ne sono tantissimi e ogni rione ha i propri. Dal santo buttato nel pozzo a chi si è dipinto i capelli sotto suggerimento di un indovino, l’elenco sarebbe lungo. C’è chi usa come “medium” la persona che va a prendere il cavallo per l’assegnazione, affinché porti non quello più forte bensì quello che vincerà».

Pensa che questi riti e credenze siano ormai relegati al passato o che siano vivi ancora oggi?
«Tutt’e due le cose. In passato la città era piccola, si viveva in un certo ambito ristretto, quindi c’era meno coscienza del resto del mondo. Però dall’altra parte, ancora oggi c’è il bisogno di andare alla ricerca di miti, di scorciatoie, di soluzioni possibili e magiche».

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Che lei sappia si sono mai verificati atti di vero e proprio satanismo collegati al Palio?
«No, questo assolutamente no. Il satanismo credo che voglia delle cose in “contropartita” che il Palio non può dare».

Prima ha parlato di chi va a prendere il cavallo per l’assegnazione. Il prescelto cosa deve e non deve fare prima del momento fatidico?
«Intanto deve sgombrare la mente da qualsiasi soluzione concreta. Nel senso che uno non deve andare lì e chiedere un determinato cavallo. Te non devi chiedere il cavallo buono, devi chiedere quello vincente, che è tutta un’altra cosa. Il “bombolone” ti fa stare bene quattro giorni ma poi il risultato non è scontato. Ad esempio la seconda volta che sono andato a prendere il cavallo ci dettero Berio, che nella sua carriera ha vinto 4 Pali su 6 corsi. Alla fine non si vinse. L’errore mio, può darsi, fu quello di ostinarmi su quel determinato barbero. Pur essendo in un ruolo in cui non fai assolutamente nulla, in cui sei solo un ottimo testimone di quello che ti succede intorno, quando sei lì in quell’atmosfera ti senti veramente coinvolto e la cosa ti prende veramente».

Cosa si prova in quei momenti?
«E’ una grossissima emozione essere lì davanti. Anche perché te non hai nemmeno la lista dei cavalli come tutti e allora ti affidi un po’ alle voci della gente. Quando chiamano un numero cerchi di capire chi possa essere e aspetti. Sei veramente, inconsapevolmente protagonista. I veri artefici di tutto sono i due bambini che estraggono le ghiandine e la sorte. Te sei una sorta di “medium”, di personaggio che fa da tramite tra la sorte e la contrada. Quando vai via non sai se la cosa è andata bene o male. Quando poi porti il cavallo vincente diventi un vero e proprio eroe».

Qual è stato il momento più magico vissuto da Massimo Biliorsi nel corso della sua vita paliesca?
«Sono stati molti in realtà. Posso citare il 1986, quando il 28 notte portammo a Montaperti chi doveva andare a prendere il cavallo. Facemmo una cerimonia per cercare di vincere, visto che erano vent’anni che eravamo a digiuno. Io ero stato addirittura a prendere un famoso chiodo di bara da un indovino di Volterra. L’esasperazione degli anni di porta a fare tutto. Il giorno dopo ci toccò Ogiva, quindi pensavamo che il rito non avesse funzionato un granché. E invece…

Questa cerimonia poi l’abbiamo ripetuta nel 2014 a luglio e ci è andata bene nuovamente».

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Secondo lei la fortuna è magia o è forza di volontà?
«La fortuna è casualità. In un percorso a ostacoli come il Palio te non puoi assolutamente intervenire e puoi solo affidarti alla forza della tua mente. Devi: uscire a sorte, ti devono assegnare il cavallo giusto, i quattro giorni devono andare in una certa maniera, ti deve toccare un determinato posto al canape, la corsa deve sfilare in un modo e non in un altro. Ditemi se non c’è in tutto questo una sorta di mano che ti guida. C’è. E’ la mano della sorte. Come capita a tutti nella vita».

Quindi, come nella vita, il senso di quello che ti accade lo capisci solo dopo…
«Esatto. Tante volte certe scelte che vengono fatte sono una sorta di, per dirla cinematograficamente, “sliding doors”».

Emilio Mariotti