Giampiero Cito (Aquila): “Non si scherza sulle emozioni del Palio”

Giampiero Cito, creativo di professione, negli anni ha scritto libri, operette goliardiche, commedie per l’Aquila e spettacoli di cabaret.

Diceva Charlie Chaplin che «Un giorno senza un sorriso è un giorno perso». Quindi per non perderli per strada questi giorni, bisogna cercare e ricercare chi ci possa regalare un sorriso. Meglio ancora se si trasforma in risata, vale doppio. L’aquilino Giampiero Cito, conosciuto da tutta la città come “Il Tagliatella”, è una persona che allunga la vita quindi, visto che di sorrisi e di risate ne elargisce a volontà. Creativo di professione, lo è anche nella quotidianità, dove non lesina motti, battute e uno sguardo ironico sul mondo. Negli anni ha scritto libri, operette goliardiche, commedie per l’Aquila e spettacoli di cabaret. Chi meglio di lui, quindi, può aiutarci a capire il rapporto tra l’ironia e il mondo del Palio, soprattutto in un periodo come quello contemporaneo dove sembra esserci una spasmodica ricerca dell’”ingessato”.

L’ironia in Contrada si può usare, o si rischia di prenderle da qualcuno?
«L’ironia è una delle forme di espressione dell’intelligenza, specialmente da parte di chi la deve capire. In Contrada, come in ogni altro luogo va utilizzata sapendo che è uno strumento che può anche diventare un’arma. E come tutte le armi va maneggiata con molta attenzione. Per quanto mi riguarda la tiro fuori solo quando so che non può fare male».

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Sul Palio possiamo scherzare o è una cosa troppo seria?
«Il Palio è un gioco. Il gioco più serio del mondo ma è comunque un gioco. Penso che si possa scherzare sulle cose più importanti della vita, perfino sul Palio. Ma senza mai perdere di vista la cosa che ne sta alla base: il rispetto. Il Palio è un gioco che chiama in causa le emozioni e su quelle non ci si scherza. Si può scherzare su un fantino, sulla mala sorte, sul posto al canape che ti è toccato ma non si può scherzare sulle emozioni. Su quelle no».

Secondo lei tutte le Contrade sono uguali od ognuna ha un “carattere” proprio?
«Tutte le Contrade sono uguali per importanza e dignità. Ma sono tutte diverse per le loro caratteristiche e per il loro temperamento. Questo dipende dalla loro condizione momentanea e dalla loro storia. Il carattere di una Contrada è la somma dei caratteri dei suoi contradaioli. Che chiaramente cambia con il passare del tempo e degli eventi».

Nella vita di tutti i giorni possiamo scherzare su tutto o ci sono dei limiti?
«Io penso che chi non ha il coraggio di ridere delle proprie disgrazie sia condannato ad essere un disgraziato. È difficile ma bisogna provarci».

Ha scritto sia operette goliardiche che commedie per l’Aquila, la sua contrada. Dove sta la differenza fra queste esperienze diverse?
«La differenza sta nella motivazione per cui si scrive l’una e l’altra cosa. L’Operetta è scritta per studenti che hanno un tempo limitato per esprimere la propria voglia di dire qualcosa. Per cui è molto più facile dare tutto in quello che si recita su un palco. È per questo che alla fine di un’Operetta spesso gli attori piangono; perché sanno che sono lì sopra per un tempo piccolo. Una commedia di Contrada è un fatto aggregativo che mette sul palco persone di varie età legate solo dalla voglia di godersi un momento di condivisione. E poi cambia il pubblico: quello di una commedia di Contrada è composto prevalentemente da amici, quello di un’Operetta da gente che viene per metterti alla prova. Io preferisco l’Operetta, non c’è corsa».

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Roberto Ricci e Giampiero Cito durante una “Mattaglia”

Con il compianto Roberto Ricci in passato avete fatto degli spettacoli di cabaret chiamati “Mattaglia”. Come nascevano gli sketch?
«Nascevano da incontri per la strada. Quando ci si trovava e si diceva: “ma si rifacesse una Mattaglia?”. Era la somma di due persone che si divertivano a mettere in scena la propria voglia di manifestarsi come cretini di talento di fronte a due o trecento persone che venivano a vederci e ci perdonavano qualche stecca. Di solito io scrivevo e Roby suonava. Il contrario non era possibile perché io non so suonare. Ci si trovava a casa di Roby, sempre davanti a piatti di cibi per stomaci forti: lampredotto, animelle, orecchie di maiale. Si andava avanti fino alle quattro di notte a buttare giù idee e canzoncine su fogli di quadernone a quadretti. E non mancava mai la dama, di rosso. Sono state serate indimenticabili. Mi manca tanto Roberto».

E’ vero che le persone che fanno ridere sono, in fondo, un pochino malinconiche?
«Purtroppo sì. Purtroppo».

Emilio Mariotti