Cosima Spender: “Il mio Palio come un western”

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Sguardi intensi come in un western, musiche epiche da Guerre Stellari, uomini pronti alla battaglia manco fossero i protagonisti di un film bellico. Tutti questi elementi fanno di Palio, documentario sul minuto e quindici-venti più emozionante che ci sia, un kolossal inedito sulla nostra Festa. A realizzarlo sono stati la regista Cosima Spender, chiantigiana di nascita ma ormai londinese, e i produttori di Senna e Amy, due biopic di successo dedicati rispettivamente ad Ayrton Senna e Amy Winehouse. Una produzione in grande stile, tanto che, a differenza di molti documentari destinati solo alla tv, “Palio” uscirà nelle sale cinematografiche del Regno Unito il 25 settembre prossimo. Entro l’anno è prevista anche la distribuzione in Italia. Per saperne di più abbiamo intervistato la regista italo-inglese.

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Come nasce il documentario Palio?

Era dai tempi della scuola di cinema alla National Film and Television School che volevo fare un film sul Palio. Era però un soggetto così difficile che non mi sentivo pronta ad affrontarlo da sola, senza l’appoggio di una grande produzione alle spalle. Il Palio è molto complicato, ci sono voluti 13 anni di esperienza realizzando documentari più semplici per “allenarmi”.

E’ stato difficile realizzarlo, visto il contesto?

 E’ stato difficile in quanto era una storia incentrata su alcuni fantini (Tittia, Trecciolino, Aceto e Bastiano), che abbiamo ripreso mentre stava accadendo. Non è un documentario che abbiamo costruito in retrospettiva, con interviste fatte a posteriori. Abbiamo catturato “la storia” che dominava la Piazza nell’estate del 2013. Cogliere una storia nel suo divenire è complicato, ci vuole fortuna e organizzazione, proprio come nel Palio!

Ha deciso di dare un taglio particolare alle immagini?

Ci hanno ispirato i film di Sergio Leone. Abbiamo girato con la migliore cinepresa possibile per esaltare il lato estetico della Festa. Molti primi piani e piani larghi per dare l’idea del western. Non solo questi ultimi li abbiamo usati spesso anche per non perdere di vista i nostri soggetti principali, una volta “catturati” dalla città, dove era facile confonderli tra la folla. Palio non è un reportage, è un film, dove, grazie al montaggio, si sviluppano le vicende di alcuni personaggi. Altro grande lavoro è stato fatto con la musica e con i suoni ambientali.

 

Com’è stato lavorare con i fantini?

Una bellissima esperienza. Mi sono sentita a mio agio e loro sono stati disponibili finché potevano. Tutti sappiamo che i segreti del Palio non possono essere rivelati, però documentando quell’estate siamo riusciti a catturare l’atmosfera degli intrighi e delle emozioni nascoste. I fantini “in pensione” mi hanno fatto da guida quando quelli che partecipavano erano sotto stress per la corsa. Nonostante il loro rigoroso allenamento e i loro appuntamenti, i fantini mi hanno aperto le porte.

Perché ha messo sotto i riflettori i fantini e non le contrade?

Ho scelto di soffermarmi sui fantini perché mi interessava la relazione tra di loro e la città. Sono nell’occhio del ciclone, coloro che tengono il destino di una contrada nelle loro mani. Sono amati e odiati, portati sulle spalle fino al Duomo o picchiati in Piazza. Un altro motivo è perché ultimamente tutti i film sul Palio si sono concentrati sulle contrade e nessuno (a parte quello di Luciano Emmer negli anni ’60) ha approfondito più di tanto le vicende dei protagonisti della corsa.

Recentemente ci sono state molte polemiche in Italia sul Palio. Secondo lei cosa, e se, dovrebbe cambiare della comunicazione esterna della nostra Festa?

E’ un argomento molto difficile da presentare all’esterno. Ormai viviamo in un mondo dove la maggior parte della gente fa discorsi animalisti, però poi va al supermercato a comprare il pollo d’allevamento. Bisognerebbe far capire che a Siena c’è una delle ultime società dove l’Uomo e il Cavallo fanno parte dello stesso mondo.

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Emilio Mariotti