Palio “bello” o “brutto”? La verità la scrive il popolo

Se parliamo di Palio “bello” o “brutto”, come per qualsiasi opera dell’ingegno, siamo sicuramente fuori strada. Potremmo trovare due esperti che tranquillamente percorrerebbero parallelamente entrambe le direzioni e farlo con assolute certezze e inoppugnabili verità. Il ragionamento va spostato altrove. Davanti al cencio dipinto dal belga neoespressionista Charles Szymkowicz, ai suoi accesi colori, ad un impatto non semplice, ai suoi simboli non sempre sereni e chiari, dobbiamo farci due domande fondamentali. La prima è se ha la capacità di coinvolgere il pubblico a cui è destinato, i contradaioli, che sono la più impegnata committenza per ogni artista che si cimenta in questa delicata e difficile opera. E’ dunque un cencio coinvolgente? La seconda domanda è se il segno, il tratto, lo stile di Szymkowicz è figlio del nostro tempo. Insomma, se fra cinquant’anni questo drappellone sarà il degno rappresentante del nostro tempo. Se è insomma, come pretendiamo da ogni artista, un’opera fortemente contemporanea. Andiamo nei dettagli che ci portano a definire questo cencio piuttosto “inquieto”: il volto ben poco angelicato, il cavallo dai tratti quasi umani, quell’altro cavallo nero rovesciato, inerme e vinto. Ci sono tutti gli elementi che colpiscono lo sguardo e che sicuramente hanno poco a che fare con l’iconografia paliesca che conosciamo. E’ vero, nessuno pretende che un pittore lasci del tutto il proprio tratto, anzi è bello scoprire un’impronta che interpreta al meglio la Festa, ma ogni drappo di seta deve sempre essere un punto di incontro fra l’arte e l’originalità di questo gioco che lo mette in gioco. Sono dunque due domande fondamentali a cui potremo rispondere meglio nei prossimi giorni, magari quando il cencio sarà issato sul carroccio e guadagnerà la piazza fino ad essere esposto sul palco dei giudici. Per adesso sentiamo poche voci che si accordano allo stile di Szymkowicz e questo è un fatto oggettivo a cui non possiamo certo sottrarci. La verità la scrive il popolo, quello che ha colto tiepidamente questo cencio e che può essere l’unico garante che può farlo entrare nella storia eterna dei migliori drappelloni o, al contrario, farlo dimenticare in fretta, come è successo a molti altri. Passerà dunque l’esame spietato del tempo questa Assunta dal volto difficile, dai colori sparsi con generosità, dai simboli dei rioni che si rincorrono inquieti, dai simboli lontani da quelli da conosciamo da sempre? La risposta si perde nel vento, come nella celebre canzone, e si fa accompagnare dal lieve brusìo di quando è stato presentato nel Cortile del Podestà. Adesso si rincorrono, come sempre pareri e pronostici. E’ Palio dunque, e come sempre che la Festa cominci, anzi è più indicato dire “Que la fete commence”, ricordandoci la grande pellicola di Bertrand Tavernier. A difesa del nostro pittore, adoperiamo le parole “anarchiche” del suo amico Leo Ferrè che ben si sposano al clima della presentazione: “Hanno al posto del cuore un sogno disperato. Sono gli anarchici”.
Massimo Biliorsi