Le modelle del Sarrocchi: un’altra storia

Le due bisnonne e l’ Indipendenza… degli artisti di Francesco Burroni

Sono rimasto anch’io molto sorpreso, come la signora Vera Maria Bicchi, nello scoprire che c’è un’altra bisnonna, oltre alla mia, che ha raccontato di aver fatto la modella per la statua dell’Indipendenza del Sarrocchi. Premetto che non dubito affatto della buona fede della signora Bicchi così come spero lei non dubiti della mia, sta di fatto che entrambi siamo cresciuti con i racconti dei nostri genitori e parenti che indicavano in quel dolce volto una nostra progenitrice. Si potrebbe pensare che una delle due bisnonne abbia clamorosamente mentito, ma per quale scopo? Fortunatamente non ci sono in ballo né eredità né diritti d’autore da percepire ma c’è solo da ricostruire una memoria storica e quindi possiamo con serenità fare le nostre ricerche e le nostre ipotesi che, con ogni probabilità, rimarranno con beneficio d’inventario considerata la probabile impossibilità di trovare documenti d’archivio o foto d’epoca. Ecco quindi che, dopo aver sentito il parere di accreditati esperti del settore, mi sono fatto la mia idea. Parto da un dettaglio molto significativo: ambedue le bisnonne raccontano che il braccio destro non era il loro. Tutte e due quindi conoscevano bene il processo di esecuzione dell’opera e quindi le immagino tutte e due in perfetta buona fede. Intanto possiamo però attribuire (in attesa di altre possibili rivendicazioni) la paternità del braccio destro per il quale Emma diceva che aveva posato la sua sorella Mentana Inglesi. Gli esperti mi confermano anche l’ipotesi, già fatta da Gaia Tancredi, che era uso abbastanza comune (e immagino lo sia ancora) cambiare e alternare le modelle, soprattutto quando la realizzazione dell’opera richiedeva molto tempo o una si ammalava o l’artista non era più convinto della prima modella scelta. Così, nell’eventuale attesa che spuntino altre pretendenti, si potrebbe realisticamente ipotizzare che sia Emma che Assunta abbiano effettivamente posato per quella statua. Tra l’altro, per chi non lo sapesse, nei corridoi dell’Istituto d’arte è conservato il modello preparatorio in gesso a grandezza naturale.

Una lezione di storia dell’arte

Ma da tutta questa storia, che mi ha comunque dato l’occasione di raccontare le burrascose avventure dell’ocaiola Emma e del torraiolo Alfredo, possiamo forse anche trarre un importante insegnamento di filosofia estetica e cioè che gli artisti sono per loro natura molto creativi e anche molto… indipendenti. Il pittore, e anche lo scultore, non si limitano infatti a fotografare la realtà ma anzi l’opera d’arte è proprio la trasformazione di un dato di realtà che, unito alla fantasia dell’artista, diventa poi opera d’arte. Così alla fine ecco che la modella è importante per l’ispirazione dello scultore (potremmo dire la stessa cosa anche per la letteratura) ma poi il risultato è qualcosa di “altro” che, a differenza della modella, diventerà arte e resterà immortale. Questa storia della realizzazione della statua dell’ Indipendenza parrebbe essere proprio una chiara esemplificazione di questo concetto anche in considerazione che Emma era nata nel 1866 e Assunta nel 1830 e che quindi tra le due donne correvano 36 anni. Se prendiamo per buona il 1879 come data della posa della statua (ma pare che ci siano pareri discordi anche su questo) Emma aveva all’epoca 13 anni e Assunta 49 mentre l’immagine della statua pare chiaramente quella di una donna tra i venti e i trenta anni. In sostanza Sarrocchi ha molto probabilmente usato tre modelle: una per il braccio destro e due di età molto diversa per il volto e il corpo per creare (in totale… Indipendenza) una quarta donna che è quella nata dalla sua fantasia e che, immortalata nella scultura, resterà per sempre a deliziare i passanti… sperando che la manutenzione non si faccia anche in futuro ogni 150 anni! Poi passando davanti a quella statua ognuno potrà vederci la sua bisnonna o chi vuole lui, così come a chiunque è liberamente e democraticamente permesso di riconoscere nel Mosè di Michelangelo il proprio caro zio o nel Giuda dell’Ultima cena di Leonardo il proprio perfido capoufficio. Se volessimo fare un’ indagine alla Gordon Moran potremmo produrre foto di parenti e discendenti e studiarne con simulazioni tridimensionali le possibile somiglianze, ma a che servirebbe? A me nessuno toglierà mai l’emozione di vedere la statua dell’Indipendenza e di riconoscere in lei il volto sorridente di mia madre da giovane.

Una petizione

Piuttosto io e la signora Bicchi potremmo essere i primi firmatari di una petizione (che il Corriere di Siena potrebbe concretamente far sua) per riportare la statua nella sua sede originale e cioè nell’omonima piazza Indipendenza. Magari senza necessariamente ricostruire l’ingombrante basamento di allora ma posizionandola a ridosso o meglio dentro il loggiato della piazza. Qualcuno obbietterà che così facendo si andrebbe a coprire uno dei re che fanno mostra di sé sotto quelle logge ma a loro risponderei che, oltre che dagli austriaci, ci siamo anche liberati di casa Savoia e che quindi uno dei baffuti e impolverati avi di Emanuele Filiberto potrebbe essere spostato di qualche metro per far posto ad una bella donna che rappresenta la nostra libertà e la nostra storia… che in fondo è la bisnonna di noi tutti.