La storia del Palio di luglio: ecco la leggenda (o la verità?) della Madonna di Provenzano

Come ci è capitato spesso di scrivere, la storia di Siena è infarcita di molteplici leggende, tradizioni e favole, quasi sempre costruite ad hoc nel corso dei secoli per nobilitare le origini della città, come nel caso dell’arcinoto racconto di Aschio e Senio, o magari per dare un nome e un volto al fondatore di un’istituzione di vitale importanza come l’ospedale di Santa Maria della Scala, creando allo scopo il personaggio di Sorore.

Ciò premesso, poteva mancare una gustosa storia anche sulla Madonna di Provenzano, in onore della quale si corre, a partire dal 1656, il Palio del 2 luglio? Ovviamente no, o almeno questo è ciò che si è pensato fino a qualche anno fa. La vicenda è ben nota, ragion per cui la ricorderemo solo brevemente.
Prima che venisse costruita la Collegiata, nel malfamato rione di Provenzano si trovava una statuetta in terracotta raffigurante la Madonna, che secondo la tradizione sarebbe stata collocata nell’edicola esterna di una delle tre finestre di una casupola dove ai primi del Cinquecento viveva una discendente di santa Caterina. Un giorno di un anno imprecisato, ma comunque collocabile intorno alla metà di quel secolo, un soldato del presidio spagnolo, forse ubriaco, o magari furente per aver perso al gioco, oppure sin troppo euforico dopo aver trascorso un po’ di tempo libero in qualche postribolo, passando da queste stradine per far rientro in caserma, all’epoca alloggiata presso il limitrofo convento di San Francesco, prese di mira proprio la minuta immagine mariana. Così, imbracciato il suo archibugio, la colpì, spezzando irrimediabilmente le braccia e mandando in frantumi la parte inferiore del busto; nell’impatto, invece, si salvarono, almeno parzialmente, quella superiore e soprattutto il volto. Un gesto sacrilego pagato a caro prezzo dal milite, perché l’arma gli scoppiò in mano, uccidendolo. In pratica la statuetta aveva compiuto il suo primo miracolo.
Risistemata come meglio era possibile, considerate le sue condizioni, la terracotta divenne ben presto oggetto di crescente devozione popolare, ancor più dopo l’ennesimo prodigio capitato nel 1594. Il 1 luglio di quell’anno, mentre il rione era impegnato ad adornare il tabernacolo per la festività del giorno dopo, la Visitazione della Vergine, una delle tanti meretrici che vi abitava, Giulia di Orazio, colpita da un male incurabile, iniziò a schernire gli uomini al lavoro e ad imprecare la Madonna. Poco dopo, però, colta da improvviso pentimento, cominciò ad invocare Maria e chiedere perdono di fronte alla statuetta. Il giorno dopo Giulia si svegliò completamente guarita, miracolo che in poche ore fece il giro della città, aumentando a dismisura la venerazione verso quell’effige mariana. Tanto da convincere l’arcivescovo Ascanio Piccolomini a chiedere il riconoscimento ufficiale del culto della Madonna di Provenzano, che alla fine del 1594 fu ufficialmente decretato dalla Sacra Congregazione dei Riti. Ciò significava che era possibile edificare una cappella o una chiesa per accogliere la sacra immagine, i cui lavori iniziarono l’anno seguente. E il 23 ottobre 1611 con una solenne processione, cui partecipò anche il Granduca di Toscana Cosimo II, la statuetta venne traslata nella sua nuova, splendida “casa”.


Siamo sinceri, la storia del soldato empio sembra costruita su misura per accrescere la devozione popolare verso questa madonnina, per dimostrare la potenza dei suoi prodigi, ma soprattutto per spiegare la particolarissima forma della statuetta, appunto mutilata dell’intera parte inferiore e con le sole spalle e il viso superstiti. E che si trattasse di una leggenda, lo si è pensato fino a pochi anni fa, quando finalmente il simulacro, che dal momento della traslazione era sempre rimasto all’interno della chiesa di Provenzano, senza mai essere oggetto di indagini o interventi, è stato restaurato nel 2000 ad opera del Rotary Club di Siena. Un intervento ormai indifferibile, perché la Madonna rischiava di sgretolarsi, da cui sono emerse diverse sorprese.
Intanto la più inattesa: ciò che resta del busto, una volta liberato dalla custodia in argento dove era rimasto rinchiuso per secoli, era imbottito di cotone, rimosso il quale fu scoperto al di sotto un agglomerato di varie parti legate da colla o stucco. La statua, dunque, aveva effettivamente sofferto un violento trauma. Ma l’aspetto ancor più sorprendente fu constatare che anche la testa era stata incollata e in mezzo al petto si trovava una parte, stuccata e ridipinta di grigio, che consentiva di scorgere un foro, tamponato con argilla, del tutto coerente ad un colpo di proiettile. Il restauro, insomma, sembra convalidare il racconto della profanazione sofferta dal simulacro di Provenzano, che così acquista un peso storico prima impensabile.

La possibilità di indagare così da vicino il prezioso manufatto ha consentito anche un’ulteriore scoperta: con ogni probabilità, esso non rappresentava la sola Vergine, ma in origine, prima della lesione patita, doveva presentarsi come una “Pietà”, con Maria che dunque teneva tra le braccia il figlio morto.

Roberto Cresti
Maura Martellucci