Il quartiere Conolly è l’incrocio tra passato, presente e futuro

Il 30 novembre, data che segna la fine della raccolta firme, è ormai arrivato. Oltre ad un senso di sollievo, lasciatelo confessare a chi, insieme agli amici del Fai ed a quelli del Comitato “Salviamo il Conolly”, si è impegnato molto in questi ultimi mesi, l’occasione porta con sé la possibilità di qualche riflessione

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Il 30 novembre, data che segna la fine della raccolta firme, è ormai arrivato. Oltre ad un senso di sollievo, lasciatelo confessare a chi, insieme agli amici del Fai ed a quelli del Comitato “Salviamo il Conolly”, si è impegnato molto in questi ultimi mesi, l’occasione porta con sé la possibilità di qualche riflessione. Presto, infatti, avremo a disposizione un tempo meno assillato per riflettere, confrontarsi, fare progetti.
Riguardo al censimento dei “Luoghi del Cuore” sapremo se avremo raggiunto l’obiettivo che ci siamo posti (le 10mila firme). È stato un obiettivo che si è venuto precisando nel corso dei mesi ed anche se non ci porterà nei primissimi posti della classifica, una volta raggiunto, avrebbe una sua consistenza innegabile. Poi, a febbraio prossimo, quando il Fai proclamerà i risultati, vedremo a che punto siamo.
La prima considerazione che vorrei esporre, ripensando agli inizi della campagna, parte da una domanda. Quali sono stati coloro che per primi hanno appoggiato la candidatura del Conolly?
Sono state principalmente due categorie di persone, entrambe fatte di addetti ai lavori e che dividerei nei “nostalgici” da una parte e nei “basagliani” dall’altra, due gruppi che qualche anno fa si sono scontrati, a volte con toni da guerra di religione, gettando, nel calore di quella controversia, ideologie diverse e contrapposte.
I primi sono coloro che hanno lavorato nel manicomio e lo ricordano ancora con nostalgia come istituzione potente, forte nella sua dimensione autarchica. Forse molti di loro non hanno valutato la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico come un passo in avanti e hanno anzi osteggiato la legge Basaglia che la ordinava. Che peccato – hanno pensato e forse pensano tutt’ora – perdere tutta quella cultura, quell’esperienza! Credo che all’inizio non sopportassero, proprio non riuscissero a guardare il grande San Niccolò destinato a quello stato di pietoso abbandono. Ma certamente anche adesso che il tempo è passato e certi fuochi si sono spenti, non hanno piacere di vedere il grande degrado di quel padiglione.
I secondi invece sono coloro che si trovavano esattamente sul fronte opposto e magari hanno cercato di lottare per affrettare la chiusura del manicomio, considerato, specialmente nei suoi ultimi anni, ormai incapace di curare qualcuno. Ma proprio per questo, cioè per una ragione opposta, non intendono perdere la memoria di quello che avveniva là dentro, delle persone che per loro sfortuna hanno lì passato la vita, e in specie in quel padiglione, e anzi vogliono che ne resti traccia perché qualcosa del genere non avvenga più, mai più.
Ho già scritto, quando la gara cominciò, di come mi colpiva il fatto che motivazioni così opposte nella loro genesi, potessero giungere alla stessa conclusione: cerchiamo di fare qualcosa per il Conolly. Ma, riflettendo, non c’è da meravigliarsi. Entrambe, infatti, si muovono all’interno di un interesse per la disciplina, per la sua storia, ma anche per i suoi sviluppi e per le sue tendenze più moderne.
In questo periodo, si è reso necessario accrescere l’interesse intorno a quel luogo e io in particolare ho cercato di farlo raccontando alcune storie di esistenze che lì dentro, nel manicomio, sono trascorse. Ringraziando dell’interesse che queste storie hanno suscitato nel pubblico, mi pare però giunto il momento di alcune riflessioni più generali.
Inevitabilmente il Conolly ci rimanda al passato, ad un’epoca lontana, ad una psichiatria diversa, ad una società diversa. Ma è anche, casualmente, per via della sua collocazione fisica, il testimone silenzioso di come si può fare assistenza psichiatrica oggi.
Il quartiere Conolly è, per chi non lo sapesse, collocato, in questo senso, in una posizione veramente strategica. È come se intorno a quel luogo si incrociassero e confluissero tutti i “tempi” della psichiatria.
Lì a due passi, nel piazzale interno dell’edificio Chiarugi, si apre l’archivio storico del manicomio che ne raccoglie il passato remoto e prossimo. Il magazzino, bellissimo, ben organizzato in ampi locali, è una miniera di storie, di interessi, di possibili ricerche.
Ancora più vicino al Conolly, veramente a due passi, c’è invece l’attuale Centro di Salute Mentale della Asl, un luogo che dimostra come si possa oggi fare assistenza psichiatrica anche senza ricorrere a mezzi costrittivi, se non in casi eccezionali. Quel luogo è naturalmente il presente della psichiatria e il fatto che, per caso, il Conolly “abiti” così vicino a quel presente accresce il fascino contraddittorio di quel padiglione.
Ma di quel presente fa parte, a buon diritto, anche la realtà di una cooperativa sociale, l’Orto de’ Pecci, collocata pochi metri più giù, che inserisce al lavoro soggetti con problematiche psichiatriche e che testimonia come l’ergoterapia dei bei tempi andati si sia definitivamente evoluta accedendo a pieno titolo al mondo dei diritti anche per coloro che, prima, non ne avevano.
In sostanza il quartiere Conolly è naturalmente collocato all’incrocio fra passato e presente.
Lì dentro le diverse psichiatrie potrebbero idealmente incontrarsi, dialogare, confrontarsi. L’insieme delle teorie e delle culture psichiatriche, quelle ormai passate e quelle attuali, “abitano” lì dentro e non sarebbe certo giusto “sfrattarle”.
Forse anzi si tratta di fare del Conolly un centro di confronto e di studio su questi temi, in un certo senso il quartiere potrebbe rappresentare il simbolo di una pacificazione e di una continuità tra passato e presente.
Qualcuno, però, dice che il male di Siena (non mi riferisco alle vicende degli ultimi anni che hanno responsabili con nomi e cognomi certi o quasi…) in un senso più generale sia l’eccesso di storia che ci portiamo sulla schiena, come uno zaino pesante e faticoso da sorreggere. Certamente pieno di tesori e di glorie antiche ma che forse ci rallenta un poco nella immaginazione di un futuro. Una visione forse meno categorica (il passato è prezioso e non si butta, mai!) ci costringe perlomeno all’obbligo, mai facile, di raccordare con intelligenza il grande passato con l’incerto futuro.
Se c’è un pizzico di verità in questo, è evidente che per il Conolly, nel tentativo di dare a quel luogo nuova vita, non avrebbe senso puntare solo sul passato. È vero, potrebbe diventare il museo di sé stesso, ma mi chiedo se questo sia sufficiente ad una piena sostenibilità che probabilmente non dovrebbe puntare solo all’interesse dei nostalgici o, peggio, a solleticare la morbosità sulle storie psichiatriche o para criminali oggi tanto in voga.
Allora vorrei dire che, a mio parere e per quello che questo parere può contare, il Conolly dovrebbe vivere al 50% di psichiatria (passata e presente) e al 50% di altro (musica, arte, teatro, eventi, cultura in generale) che lo proietti nel futuro.
Quando penso al 50% della psichiatria penso al grande archivio storico che lì potrebbe trovare una collocazione. Va pur detto che, in tal senso, il problema non mi pare essere quello della collocazione, attualmente, come dicevo prima, ottima, ma quello della possibilità di una consultazione agevole e continua che adesso, forse per una carenza di personale, può essere solo episodica e saltuaria. Semmai il passato dovrebbe essere rispecchiato nel restauro scrupoloso e filologicamente esatto di almeno una parte del panopticon e delle cellette, riportandole allo stato iniziale in modo che sia possibile apprezzarne il valore storico. Tutto questo (l’archivio, l’edificio restaurato), potrebbe davvero innescare l’interesse per percorsi scientifici e turistici a cui aggiungere, arricchendoli molto, quella perla costituita dalla Farmacia con i suoi magnifici affreschi, proprio all’ingresso del San Niccolò.
Ma riguardo all’altro? Bisognerà prevedere spazi dedicati alla cultura, all’arte, all’organizzazione di eventi. La mezzaluna centrale dell’edificio, per esempio, che già ha avuto una seconda vita come aula universitaria, potrebbe, con poco, diventare uno spazio utile per convegni, per attività teatrali, per eventi. E rimarrebbero da utilizzare e ripensare ancora molti spazi del quartiere, pensando che se non innerviamo quel luogo di contenuti diversi, forse lo condanneremo ad un nuovo e lento oblio.
La discussione è aperta e adesso è venuto il momento di farla, cercando di immaginare il futuro.

Andrea Friscelli