3 febbraio 1572: il censimento degli ebrei a Siena

Anche nella Siena medievale gli Ebrei gestivano il prestito ad interessi. Certo sottostavano a varie restrizioni e dovevano essere sempre riconoscibili, a Siena con una O gialla ed un copricapo nero, ma comunque erano tollerati. Che la loro situazione sarebbe peggiorata, però, si capì non appena cadde la Repubblica: il 19 dicembre 1571 il granduca Cosimo I emanò un bando che toglieva loro il Banco del Prestito senese, venendo meno ai patti stabiliti da lungo tempo, avvertendoli, inoltre, che di lì a poco sarebbero stati rinchiusi dentro un ghetto, come stava succedendo in altre città. L’incarico di individuare in Siena il luogo et habitatione degli Ebrei fu affidato dal governatore Federigo Barbolani di Montauto al Collegio di Balia, che il 3 febbraio 1572 nominò allo scopo quattro membri: il capitano Girolamo Bindi, il conte Guido d’Elci, Alessandro Luti ed Achille Santi.

La FONTE del GHETTO

Secondo quanto racconta Girolamo Macchi nelle sue Memorie, la fonte del Ghetto fu costruita nel 1679 a spese degli ebrei e “per loro commodità”. In realtà all’interno del ghetto esisteva già una fonte, detta fonte del Potribolo, e fu proprio la sua esistenza (e quindi la possibilità reale di fornire acqua alle strade limitrife) uno dei motivi per cui lo stesso ghetto venne istituito proprio in quest’area. Macchi, in realtà, parla della fonte del Ghetto come se fosse stata costruita ex novo e non come se un ampliamento e ristrutturazione di quella del Postribolo. Ci domandiamo allora: ha un senso che in un quartiere del genere, pur ad altissima concentrazione abitativa, dove certamente esisteva già una fonte, anche se probabilmente di modeste dimensioni, tanto da sfuggire alle spie ed ai ricognitori fiorentini, se ne costruisse una completamente nuova ad uso esclusivo del serraglio? Ovviamente no, ma nulla può escludere che nel secolo trascorso tra l’adattamento di queste strade a ghetto ed i fatti narrati dal Macchi, la vecchia fonte sia andata in rovina o, più realisticamente, la sua portata d’acqua fosse insufficiente a soddisfare le necessità delle numerose famiglie ebree. Lo stesso Macchi sembra confermare questa supposizione, parlando delle nuove decorazioni che abbellirono la fontana e del fatto che fino a quel momento gli Israeliti erano costretti ad attingere acqua dalla vicina fonte Gaia: “[nella fonte] ci fecero la figura di Mosè, quando batté la verga nel masso e scaturì l’acqua, e il trabocco della fonte l’introdussero che andasse alle prigioni delle Stinche, che per il passato non ci andava e tenevano un uomo a posta che portasse l’acqua a’ prigioni, e detti ebrei andavano alla fonte di Piazza per pigliare l’acqua per loro bisogni”.


Con tutta probabilità, dunque, la fonte del Postribolo fu sostituita da una nuova, più bella e soprattutto più ricca d’acqua. La fonte era davvero abbellita da una statua raffigurante Mosé che batte un masso con una verga, facendo così scaturire l’acqua, apposta all’interno della nicchia che ospitava il fontino e con un elegante parapetto di ferro battuto che la separava dalla strada.
Nel 1867 la statua, tolta dalla sua originaria ubicazione nel 1785, fu ritrovata dall’ingegner Marchetti nei magazzini della Sinagoga e subito fu nominata una commissione d’esperti, formata dal Sarrocchi, dal Banchi e dal Mussini, che relazionasse in materia. Questa non ebbe dubbi: il Mosè non era opera di Jacopo della Quercia, come ritenuto in un primo momento, ma comunque di altro non spregevole scalpello, tanto che si propose di ricollocarla nella fonte dopo un opportuno restauro.
Non sappiamo cosa sia successo dopo: nel fontino si legge ancor oggi che fu restaurato nel 1883, ma la statua, per ragioni sconosciute, non è stata mai ricollocata nella nicchia e giace in Comune.

 

Stranario/Stradario, curiosità e stranezze nei toponimi di Siena

Roberto Cresti

Maura Martellucci