Giovanni Guidelli e il Frankestein delle rinascite

Intervista all’attore Giovanni Guidelli, che lo scorso 1 novembre ha inaugurato la nuova vita del Teatro dei Varii di Colle Val d’Elsa con l’adattamento del “Frankestein”

Giovanni Guidelli

E’ stato l’adattamento di “Frankestein” dell’attore toscano Giovanni Guidelli a segnare la rinascita del Teatro dei Varii di Colle Val d’Elsa. Lo scorso 1 novembre, la “creatura” pensata da Mary Shelley  ha infatti ripreso vita sulle tavole del palco colligiano, riaperto dopo cinque anni.

Guidelli, attore noto al pubblico per le sue interpretazioni in numerose fiction e film, ha interpretato il mostruoso protagonista dell’opera, che enfatizza alcuni temi di estrema attualità, come la paternità e l’accettazione del diverso. Sono saliti sul palco insieme a lui Francesco Grifoni e Gabriele Zini, con la produzione Avatar. Guidelli ha anche curato l’adattamento e la regia dello spettacolo.

Giovanni Guidelli, il suo “Frankestein” ha inaugurato il nuovo corso del Teatro dei Varii di Colle Val d’Elsa. Cosa ha provato? Quali sono state le sue sensazioni?

«Più che una responsabilità, è stato un grande onore. Faccio questo mestiere da una vita, da quando avevo nove anni, e ogni palco mi dà questa sensazione: m’immagino i miei colleghi che nei secoli si sono avvicendati su quelle tavole. Oltre all’emozione, c’è stato l’orgoglio di portare a nuova vita un luogo che nasce per il teatro. Fra l’altro, il Teatro dei Varii, che risale al ‘700, è un gioiellino di teatro all’italiana».

Perché avete portato in scena proprio il “Frankestein”?

« Abbiamo portato in scena “Frankestein” in occasione del bicentenario della sua scrittura. Da appassionato cinefilo, so che sono state fatte 20, 30 , 40 trasposizioni cinematografiche dell’opera letteraria. Mi chiedevo, per questo, come mai non fosse possibile farla a teatro. Ho visto poi che a Londra la stavano mettendo in scena.  Fra l’altro, ma pochi lo sanno, nel periodo intorno alla pubblicazione del romanzo, Mary Shelley abitò proprio in Toscana, a Bagni di Lucca.

La prima domanda che mi sono posto confrontandomi con il testo è stata: fino a dove è lecito spingersi con la scienza? La seconda questione, per me la più importante, è stata quella riguardante il rapporto tra la “creatura”, così viene chiamato nel libro, e il creatore, il dottor Frankestein.  Quest’ultimo assembla il mostro malamente, con un volto deturpato che ne comporta l’allontanamento dalla comunità. L’essere comincia a covare rabbia e a meditare vendetta per la sua condizione, di cui non ha colpa. Perché il dottore non ha completato la sua opera e non ha dato un volto umano alla sua creatura? Nel mio adattamento teatrale, ho sottolineato questo aspetto nella scena del reincontro tra il mostro e il creatore, dove il primo accusa apertamente il secondo di non aver fatto fino in fondo il proprio lavoro. La creatura rappresenta tutto ciò che allontaniamo da noi prima per rigetto e poi, soprattutto, per non avere problemi. Detto questo, il mostro poi ucciderà e niente lo giustifica.

E’ stato difficile adattarlo, perché nel romanzo epistolare ci sono circa 60-70 personaggi differenti. La maschera che indosso in scena è stata creata dalla ditta fiorentina Filistrucchi, mentre i costumi sono stati realizzati dalla sartoria Antonietta, sempre di Firenze».

Cosa potrebbe rappresentare, secondo lei, il Teatro dei Varii per Colle?

«Secondo me, la città vuole un polmone dove si possa respirare arte. Noi come Avatar, gruppo nato a Casole, abbiamo formulato una proposta di calendario  per il teatro e stiamo aspettando una risposta. Sarebbe un peccato se venisse richiuso. Nei tre giorni che abbiamo provato, abbiamo tenuto la porta aperta e tanta gente è passata a guardare».

Nel corso della sua carriera, non è la prima volta che si cimenta con una storia orrorifica o misteriosa. Qual è l’importanza di rappresentare la paura?

«Noi abbiamo sempre timore delle cose che non conosciamo. La paura più atavica è quella del buio, perché vi si può nascondere qualsiasi cosa. Non mi sento particolarmente legato all’horror, mentre al thriller sì. Proprio quest’anno abbiamo prodotto un trailer per un possibile film o serie tv, “Tuscan dirty fable”. Girato tra Pomarance e Casole, racconta di un passato non conosciuto dal protagonista e dalla comunità. E’ la storia di un bambino sparito e delle investigazioni per venire a capo della vicenda. Il tutto è immerso nelle atmosfere misteriose della alta Val di Cecina, zona ricca di racconti sulle streghe. In senso generale, tutti i personaggi rappresentati, sia nel teatro che nella letteratura, hanno un medesimo percorso: si migliorano ritornando al proprio passato e affrontando i propri fantasmi».

Il prossimo 24 novembre sarà premiato con un’onorificenza dedicata alla memoria di Vittorio Taviani, regista con cui ha lavorato più volte. Che ricordo ne ha?

«L’esperienza che ho avuto con i fratelli Taviani ne “La notte di San Lorenzo” è quella che mi segnato di più. Allora ero piccolo, ma penso che sia stata decisiva per farmi intraprendere il mestiere dell’attore. Avevo fatto con loro anche una particina nel loro film “Il prato” tre anni prima e ho partecipato poi, nel 1993, a “Fiorile” e al “Maraviglioso Boccaccio” del 2015. Devo dire la verità, non ho mai disgiunto  uno dei fratelli Taviani dall’altro. Vittorio era più incline a darmi indicazioni emotive sul personaggio che stavo interpretando. A lui devo gli sbalzi di umore del ragazzino fascista de “La notte di San Lorenzo”. Paolo, invece, era molto più attento alla parte fisica, di movimento, e alla visione d’insieme. A loro due devo molto».

Lei è particolarmente legato al territorio senese. Quali sono le ragioni di questo rapporto?

«Secondo me, il territorio in sé ha da dare tantissimo ed è meno inflazionato di quello fiorentino. Il rapporto con la natura è diverso, lo sento più mio».

Quali saranno i suoi prossimi progetti?

«Una cosa a cui tengo: il 13 dicembre andremo in scena alla Sala Vanni di Firenze con “Medici Gangs of Florence”. Porteremo sul palco le vicende relative alla congiura dei Pazzi, avvenuta  nel 1478, però attualizzate. Ci siamo avvalsi della supervisione storica di Marcello Simonetta, per evitare di riproporre la versione edulcorata della serie tv. Ci sono stati scontri finanziari e violenze; potrei quasi dire che la congiura dei Pazzi è stata la Gomorra di cinque secoli fa. Il fratello di Lorenzo, Giuliano, venne sì ucciso, però il Magnifico si vendicò uccidendo in due giorni una ottantina-novantina di persone. L’anteprima l’abbiamo fatta quest’estate a Casole. Avremo poi anche progetti, come ho detto prima, per Colle Val d’Elsa, di cui uno che coinvolgerebbe direttamente la cittadinanza».

Emilio Mariotti