Quando un chiostro è il teatro di un carcere

Il chiostro è un’area scoperta circondata da corridoi coperti. E’ uno spazio all’aperto, all’interno di un luogo chiuso quindi. Quello della Casa Circondariale di Santo Spirito a Siena è il cortile di un ex convento, dove le monache stavano rinchiuse. E come le suore un tempo, ora stanno i detenuti. Non è un caso, quindi, che sia stato proprio Le storie del chiostro il nome dello spettacolo teatrale messo in scena da ottobre a ieri dai detenuti di Santo Spirito, sotto la regia di Altero Borghi.

Partendo dalla storia dell’ex convento, si sono dipanate una serie di scene, scollegate per sviluppo narrativo ma non per contenuto tematico, che raccontavano cosa fossero i “cortili”, fisici o mentali. C’era il detenuto che si era fatto uccello per volare dall’amata sulle note di una canzone siciliana; c’era il Don Chisciotte imprigionato nelle sue ossessioni; c’erano i due arabi e l’acqua zampillante dei chiostri nelle moschee.

Ogni due o tre giorni, a sentire il Borghi, il copione è dovuto cambiare per causa di forza maggiore, perché i detenuti di Santo Spirito cambiano spesso. Dal giorno della prima, 13 ottobre, a ieri si sono alternati una quindicina di attori, ognuno dei quali ha portato le proprie esperienze, i propri ricordi e le proprie nostalgie. Sono state proprio le nostalgie a prendere la scena. C’è chi ha ricordato, attraverso una poesia sui gatti di Trilussa, l’amore fisico di un’amante e chi, sulle note di una canzone di guerra,ha ripensato a una patria lontana. Non c’è stato accenno alle singole vicende personali, lo spettacolo non le prevedeva. Al centro della scena, come abbiamo detto prima, c’è stato spazio solo per la nostalgia, non per la colpa.

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Uno spettacolo, in genere, è rivolto a un pubblico, ma in questo caso sono stati più gli spettatori a essere al servizio della messa in scena teatrale. Ai detenuti sul palco è piaciuto che davanti a loro ci fossero persone che li potessero ascoltare, gente dall’”aldilà” carcerario. Per questo si sono espressi come più gli poteva essere congeniale, in dialetto o in una lingua straniera. L’importante, per loro, è stato buttare fuori quello che avevano dentro, in modo che si attaccasse ai presenti e volasse fuori dal carcere. A fine spettacolo uno degli attori ha rammentato ai presenti come il teatro non abbia confini o barriere.

Al momento dei saluti il direttore della Casa Circondariale Sergio La Montagna ha sottolineato l’alta partecipazione ai laboratori teatrali promossi da Borghi e dell’associazione culturale Sobborghi. Il responsabile dell’istituto ha inoltre ricordato l’utilità di questo tipo di attività per il recupero dei detenuti, nonostante le risorse a disposizione siano poche.

Emilio Mariotti