Erriquez (Bandabardò): “Condividere un sorriso è un modo per rigenerarsi”

Intervista a Erriquez della Bandabardò. Il gruppo fiorentino sarà l’anima del Capodanno senese per la seconda volta

Enrico “Erriquez” Greppi

E’ un “cavallo di ritorno” importante quello che salirà sul palco di Piazza del Campo per festeggiare la fine del 2017 e l’arrivo del 2018: la Bandabardò. Il gruppo fiorentino tutto folk e passione, infatti, fu il protagonista anche del Capodanno senese 2004-2005. Non è un caso, la musica bandabardiana è fatta per essere ballata, per produrre joule di calore, per essere condivisa all’aperto e non in una solitaria stanzetta.

Preceduta alle 22 dal dj set di Mattia Capitani, la Bandabardò, la cui esibizione inizierà verso le 23, accompagnerà i presenti all’ingresso del nuovo anno, fermandosi solamente per il brindisi di rito con il sindaco Bruno Valentini e la presentatrice della serata, la direttrice di Siena News Katiuscia Vaselli.

Il concerto di Erriquez  e soci, organizzato sotto la direzione artistica e tecnica di “The B-Side Eventi”, non concluderà la notte di festeggiamenti senesi. Dopo il live della band fiorentina, infatti, ci sarà il dj set di “Ghiaccioli e Branzini”.

Enrico Greppi, per chi non lo conoscesse il vero nome del cantante della Bandabardò, è pronto per la serata che non potrà che essere speciale.

Tredici anni dopo, la Bandabardò torna in Piazza del Campo per il Capodanno. Cosa sentiremo?
«Innanzitutto, è stato così bello il concerto di allora. Ne abbiamo ancora un ricordo molto emozionante, con tutta quella Piazza che ci guardava sorridente.

Per Capodanno, visto che non siamo in tour, non facciamo la nostra scaletta abituale. Ci saranno le nostre canzoni e omaggeremo  nostri amori musicali come Fabrizio De Andrè, Rino Gaetano e Lucio Battisti. Di quest’ultimo, poi, nel 2018 ricorrerà il ventesimo anno della morte. Nella scaletta, ci sarà anche una specie di medley delle canzoni da discoteca più idiote. Saranno un paio d’ore di divertimento e di danza benaugurante».

Cos’è cambiato per la Bandabardò in questi tredici anni?
«Ci siamo ingranditi, sia a livello di pubblico che di musicisti. Quest’estate, abbiamo fatto un tour di quarantasette date con il pienone. C’è una marea di gente che vuole vedere la Banda, perché siamo una specie di esperienza taumaturgica. Siamo utili contro il logorio della vita moderna!

Ci siamo allargati accogliendo tra le nostre fila Pacini, un tastierista fiorentino eccezionale. Ora che siamo sette sul palco, siamo completi. Abbiamo tutte le sonorità possibili per esprimere un’idea musicale.

Per il resto, siamo gli stessi dal 1993 e questa è la nostra forza. Molti gruppi hanno passato i venticinque anni come noi; non tanti, però, hanno mantenuto lo stesso cantante, lo stesso bassista, lo stesso batterista e così via».

La Bandabardò è nota per la propria forza live. Ora che la dimensione dal vivo è tornata di moda, anche per questioni di mercato, avete individuato i vostri eredi?
«Per ora no. Ci sono tanti gruppi che hanno scelto di basarsi sul nostro tipo di carriera: dischi belli, fatti bene e poi un anno e mezzo-due di tour. Hanno capito da subito che il live era la “pompa”. Da una parte, andare in giro ti dà idee per scrivere, dall’altra, ti porta i soldi per sopravvivere, per rinvestire. Siamo un po’ l’antitesi del modo di fare di X-Factor, del tutto e subito. Noi siamo per la carriera, per la gavetta. E’ un lavoro sano e intelligente. Comunque ci vuole fortuna, faccio un esempio. C’è un gruppo valdostano, L’Orage, che ha conquistato il cuore, fra gli altri, mio, di Carmen Consoli e di Francesco De Gregori. Sono sei ragazzi che possono tenere la scena per tre ore facendo ballare anche i bulloni del palco. Sono poesia pura, però non decollano. Dove vanno hanno successo, ma poi finiscono nel dimenticatoio.

E’ difficile sopravvivere economicamente in quel tipo di fase, ti devi spostare per l’Italia quasi a rimborso spese. E’ un mestiere per ricchi, per chi si può permettere di sostenere la gavetta. Noi avevamo due di noi, io e il percussionista, che avevano messo via un po’ di soldi e così ci siamo potuti permettere di andare a suonare per centomila lire, tornando a casa con zero guadagno».

A livello musicale, come vede la Toscana?
«E’ la regione dove si suona di più. Il numero di locali e di situazioni estive dove è possibile produrre musica, è superiore rispetto a tutto il resto d’Italia. L’animo toscano è molto musicale, lo dimostrano anche  il nostro linguaggio e le dinamiche della nostra voce. Questo non basta, il genere imperante è il rap, ma in Toscana ce n’è poco. Qui ci sono cose buone in ambito folk e cantautoriale. Sulla costa maremmana, per esempio, c’è Fabrizio Pocci che fa dei concerti poetici e divertenti che sono da abbraccio».

La musica è un messaggio o un buon veicolo per un messaggio?
«E’ un veicolo. I cantanti o i musicisti non sono persone che hanno capito qualcosa di più o che hanno la facoltà di ridurre in tre parole libri interi. La musica ti dà la possibilità di portare sul palco te stesso e di dare il messaggio che vuoi, ma questo non deve essere gratuito».

Come sarà il 2018 della Bandabardò?
«Ci metteremo a scrivere qualcosa, abbiamo anche voglia di festeggiare i nostri venticinque anni suonando, perché quando abbiamo compiuto i vent’anni non l’abbiamo fatto. Il venticinquennale lo vogliamo fare in baldanza e con gran trambusto. Sarà un anno di festeggiamenti, di ricordi e di nuove proposte, perché ormai manchiamo discograficamente da troppo».

Non può mancare un augurio ai nostri lettori…
«L’augurio è quello di avere una vita serena, dove ci sia il tempo per godere delle piccole grandi gioie quotidiane. Non solo, è anche quello di essere sempre aperti e di non richiudersi in se stessi. L’augurio è pure quello di essere delle persone che considerino il sorriso e il divertimento condiviso un modo per rigenerarsi. Quindi… tanti sorrisi a tutti!».

Emilio Mariotti