Caterina, piccola donna. Una gigante della storia

“…Dicovi da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenzia vostra. Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi ne traggiate li fiori puzzolenti, pieni d’immundizia e di cupidità, enfiati di superbia… Usate la vostra potenzia a divellere questi fiori. Gittateli di fuori, che non abbino a governare. Vogliate ch’egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita. Piantate in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che siano veri servi di Gesù Cristo, che non attendano ad altro che all’onore di Dio e alla salute dell’anime, e sieno padri de’ poveri…”: così si esprimeva Caterina da Siena nella Lettera 206 indirizzata a Gregorio XI, l’ultimo Papa avignonese. Non dev’essere stato né semplice, né facile, dettare parole così dense e pregnanti, ancorché ispirate dalla Parola di Dio, nei confronti della Somma autorità spirituale costituita dal Romano Pontefice, per invitarlo a riformare il governo della Chiesa. Non lo sarebbe stato per chiunque.

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Ma ancor di più non lo era, evidentemente, per una donna. Se, infatti, proviamo per un attimo a soffermarci sul momento storico in cui vive Caterina, ci rendiamo immediatamente conto che la condizione femminile non era minimamente paragonabile a quella della nostra epoca. Alcuni passi della Scrittura (in particolare di alcune delle epistole paoline), le consuetudini, i testi giuridici canonici e quelli di origine romanistica che, sin da poco dopo il Mille, erano tornati prepotentemente in auge, disegnavano negli ambiti religioso e civile uno “status” muliebre indiscutibilmente inferiore a quello dell’uomo: una condizione, quella femminile, frutto di una elaborazione teorica ampiamente condivisa. Gli esempi potrebbero essere numerosi. Nonostante le proibizioni e i divieti, Caterina è una donna che non tace e che insegna. Sta assistendo innanzitutto al decomporsi della Chiesa, ma vede anche il sostanziale decomporsi di un’epoca. È solo una terziaria domenicana, non è propriamente una religiosa, gira per l’Europa scandalosamente circondata da uomini devotissimi. Ebbene, Caterina fa la predica al Papa, lo apostrofa in nome di Dio, lo supplica a ben fare, lo minaccia persino se non metterà in atto la linea politica che lei gli suggerisce (Lettera 255 “…Io se fussi in voi temerei che ‘l divino giudicio non venisse sopra di me…”).

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Caterina non è un’esaltata. E il suo non è un linguaggio singolare: è, al contrario, un linguaggio profetico, tutto fondato sulla Parola divina. La sua grandezza sta proprio qui: nell’essere stata una donna che, ancorché giovanissima (nata a Siena nel 1347, moriva a Roma nel 1380), era pienamente inserita nella realtà che la circondava ma che, a differenza dei suoi contemporanei, ha avuto il coraggio – e per questo è un gigante della storia  a dispetto della sua statura minuta – di “uscire fuori” dalla sua Città e da quel circuito ristretto nel quale le donne del suo tempo erano tenute, per parlare con voce chiara, limpida e forte: una voce guidata da Dio e dal Vangelo.

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Proprio per questo chi legge oggi Caterina non può non cogliere il forte senso di attualità della sua voce, restando beninteso pienamente consapevole della piena appartenenza della santa senese al suo tempo: un tempo di crisi – come di crisi è il tempo che stiamo vivendo – che aveva ed ha bisogno di spiriti profetici annunziatori di verità.
Giovanni Minnucci