Baccaiano, la chiave di lettura dei delitti del mostro di Firenze

Il delitto di Baccaiano è di certo il delitto più significativo dell’iter criminale del Mostro; cerchiamo di analizzare le motivazioni di questa considerazione, condivisa dagli esperti del caso

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Per molti Baccaiano rappresenta l’assoluta metodicità del Mostro e la sua capacità di reagire agli imprevisti: la necessità di uccidere è talmente forte che lo spinge a colpire in una strada trafficata. Addirittura l’assassino si lancia in una sorta di “inseguimento” stile film hollywoodiano, esponendo la sua figura al rischio di essere illuminata dai fari di qualche macchina in transito, con la probabilità di poter essere riconosciuto. La freddezza con la quale spara sicuro ai fari della macchina e finisce i due ragazzi prima di darsi alla fuga, è il sintomo di una personalità organizzata, priva di timori, lucida e spietata, abile nel contrastare eventi non programmati.
Ma questa ricostruzione del delitto non per forza esclude la suggestiva idea che altri si sono fatti della vicenda: la tesi, cioè, che il Mostro sia l’autore di una messinscena, che in realtà abbia ucciso i due ragazzi già da subito, e poi abbia fatto in modo di costruire una scena del crimine artificiale, facendo ritrovare la macchina dal lato opposto della strada, bloccata dalla fanghiglia, i fari rotti per non consentire una visuale per la via di fuga, e via dicendo.
Questo ci direbbe molto sulla personalità egocentrica, onnipotente del killer, che tratta le sue vittime come burattini, e che si spinge ad un passo ulteriore; quello di considerare anche noi dei burattini, in mano al suo modo di costruire la realtà, di instillare dubbi, capace di farci rammaricare ancora più amaramente per il destino dei due giovani che, se non fossero finiti impantanati dal lato opposto della strada, forse si sarebbero salvati. Insomma vuole farci pensare ciò che vuole, vuole farci capire dolorosamente come anche il caso sia dalla sua parte e armi la sua mano di morte e sofferenza.

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Oltre alle torture fisiche e agli scempi perpetrati sui corpi delle vittime, il Mostro compie uno strazio psicologico sui sopravvissuti; se la verità di questo delitto fosse effettivamente una sceneggiata operata dal Mostro, si amplificherebbe l’aspetto sadico della sua personalità.
L’idea che il Mostro si muova seguendo il corso dei torrenti è probabilmente giusta. Questo spiegherebbe il perché non ci siano praticamente nessun tipo di tracce nel luogo del delitto; dal punto di vista dell’omicida il torrente offre un modo sicuro di orientamento (non dimentichiamo che i delitti avvengono nelle notti di novilunio), e il modo più facile di non lasciare segni dopo il suo passaggio fatale (l’acqua, il fuoco, distruggono la maggior parte delle tracce).
Non possiamo escludere che questo luogo particolare non sia di una qualche importanza per il Mostro, rispetto ai precedenti; il modus operandi del killer questa volta denota comunque una necessità incalzante di uccidere, seppur successivamente potrebbe esserci stata una costruzione artificosa della scena. I due ragazzi sostavano ai margini della strada, una strada trafficata all’ora del delitto, vicino a una discoteca e comunque non un posto appartato come i precedenti e come lo saranno i successivi. Che il Mostro abbia deciso e voluto fortemente uccidere quasi d’impulso? Chissà, la certezza forse non l’avremo mai.
Di certo quella strada, quel preciso luogo, potrebbe rappresentare la vicinanza (ma anche la comodità per una via di fuga o un nascondiglio) di un affetto, di un ricordo di qualcosa vissuto nel passato e attuale ancora nella mente dell’assassino, tanto da portarlo a un ulteriore atto criminoso.
E’ interessante nell’articolo precedente, riguardo al racconto del delitto, un passaggio che descrive un sentimento del presunto assassino, un dolore che gli ricorda un qualcosa vissuto da bambino.
Nella maggior parte dei casi di serial killers, i colpevoli durante l’infanzia e l’adolescenza, hanno subito da parte di conoscenti e spesso proprio dai genitori, abusi di varia natura: fisici, psicologici, afflizioni degli affetti, maltrattamenti, che hanno sviluppato nella personalità degli abusati la totale mancanza di empatia, sintomo principe, e caratteristica univoca, della nascita di un assassino seriale.
L’infanzia è il momento decisivo per la salute fisica e mentale di un futuro adulto; è fondamentale dunque, la costruzione di un legame forte fra il bambino e chi si prende cura di lui.
Mano a mano che questo attaccamento si calcifica, si modifica e progredisce, il bambino arriva a identificare se stesso e a cercare in maniera sempre più attiva il contatto coi genitori. Nei casi in cui questa unione viene a mancare dal principio, oppure è interrotta durante il processo di maturazione, può accadere che il bambino, e dunque l’adulto del futuro, sia incapace di provare empatia, affetto o rimorso per un altro essere umano; pur nascendo all’interno di un matrimonio “regolare”, il bambino può aver maturato un isolamento dalla società, percepita come ostile nei suoi confronti.
La conseguenza è l’indifferenza verso la collettività organizzata e le sue regole e consuetudini etiche; le pulsioni violente vengono dirottate sulle vittime, che il killer strazia e uccide perché considera l’origine dei propri mali.
Il senso di identificazione nel genitore è per altro lo stesso motore che ci spinge negli affetti a cercare di ricreare un nucleo familiare come quello che abbiamo vissuto, e nelle personalità più forti la necessità, al contrario, di rigettare il vissuto infantile per costruire quanto più possibile, un avvenire differente. Come già infatti abbiamo detto precedentemente, un serial killer non nasce mai per caso, ma neanche basta un solo fattore a sviluppare una mente disturbata.

Giulia Morandini
Criminologa
Università La Sapienza Roma