Moby Prince, la storia si stravolge. L’esplosivista senese trova la verità sul fondo del mare

Ventisette anni dopo, i 140 morti della Moby Prince hanno una giustizia. Ma resta l’amaro perché “qualcuno poteva essere salvato”.

E’ una verità importante che dà ragione anche alle famiglie che da 27 anni chiedono la verità per i loro morti, una verità che riscrive la storia sullo scontro tra il traghetto Moby Prince (che la sera del 10 aprile 1991 salpò da Livorno, diretto a Olbia) e la petroliera Agip Abruzzo. Indagini e processi non avevano mai dato risposte concrete, “sono state condotte con superficialità”. C’è voluta una commissione, nominata nel 2016 e presieduta dal senatore Silvio Lai. Nel gruppo di lavoro nominati consulenti specializzati che mostrano la vicenda sotto una nuova luce. Tra questi, il consulente tecnico esplosivista, il maggiore senese Paride Minervini, nominato lo scorso 2 giugno cavaliere della Repubblica

Maggiore Paride Minervini, cosa è successo, allora, che ha causato la morte di 140 persone nelle fiamme del traghetto?

 

“Con i dati disponibili oggi, possiamo affermare che non ci sono tracce morfologiche di una detonazione (esplosione con velocità di migliaia di metri al secondo) ma solo di una sovrappressione/deflagrazione (esplosione con velocità di centinaia di metri al secondo), dovuta alla presenza di idrocarburi liquidi e gassosi riversati dalla nave cisterna AGIP Abruzzo sul traghetto Moby Prince, al momento del violento impatto”.

Il traghetto Moby Prince reduce dall’incendio a seguito della collisione con la petroliera “Agip Abruzzo” il 10 aprile 1991.ANSA

Non è stata dunque la nebbia la causa della collisione fra il Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. E quest’ultima era in un posto dove non poteva stare. C’era un radar alla stazione piloti, la capitaneria non l’ha usato per sapere chi era coinvolto nell’incidente. Quasi due ore senza soccorsi, e “qualcuno poteva essere salvato”. Perché non è vero, dicono i periti, che sono morti tutti nel giro di trenta minuti.

Maggiore Minervini, il suo lavoro nel gruppo è iniziato con una analisi di tutto ciò che era stato fatto finora. Cosa è emerso subito?

“C’erano discrepanze dal punto di vista tecnico nel carteggio tra Ministero dell’Interno Dipartimento di Pubblica Sicurezza e comunicazioni al Ministro dell’Interno. Inoltre, come riportato dalla perizia della Marina Militare, se pur presenti (perché trasportati) in traccia esplosivi ad alto potenziale, gli stessi non hanno avuto un effetto detonante ma hanno partecipato alla combustione dei materiali. Esaminando i reperti ho notato anche oggetti e residui d’incendio. Allora ho proposto di fare un’analisi più approfondita di questi residui per la ricerca di tracce di esplosivi in base alle nuove tecnologie presenti nel campo scientifico”.

 

Che cosa è emerso di nuovo alla fine del lavoro che vi ha portato in pieno inverno ad immergervi e arrivare a lavorare sulle lamiere rinvenute, sul fondo del mare?

“Sul traghetto con i dati che sono disponibili in questo momento, non ci sono appunto tracce morfologiche di una detonazione. Tramite analisi sonar si è provveduto a investigare un’area del fondo marino inerente la scena.

 

L’area è profonda in media circa 43 mt, risulta fangosa per una profondità di circa 1,5 mt. L’ investigazione che ha avuto la durata di vari giorni 24 ore su 24, senza sosta, ha evidenziato due punti del fondo marino dove sono presenti delle lamiere contorte. Sui punti evidenziati dal SONAR sono state effettuate delle esplorazioni tramite ROV – PLUTO (sistema a comando remoto di video ispezione) e immersioni dirette sulle lamiere al fini di effettuare misurazioni e foto”.

 

Queste nuove analisi hanno portato a stravolgere la storia per come l’avevamo conosciuta fino ad oggi…

“Sì. Abbiamo ricercato e rilevato sotto lo strato di fango del fondo marino, frammenti metallici che possono essere studiati ed identificati per capirne la provenienza e le azioni della giusta causa esterna che ne hanno determinato il distacco e l’aspetto morfologico assunto. Grazie anche a questo, oltre all’analisi dei risultati del Sonar effettuati dalla Marina Militare, e al lavoro di tutta la commissione, siamo riusciti a cambiare la storia”.

Per la prima volta nella storia, gli atti sono desecretati…

”Una svolta importante”.

Katiuscia Vaselli