“Io, imprenditore a Parigi”

A nome nostro e di tutti parigini, voglio dire solennemente una cosa al mondo intero: noi non abbiamo paura. Le parole sono del sindaco di Parigi, Anne Hidalgo. E sono un grido di forza oltre al dolore che ha lacerato il cuore della Francia, dell’Europa, del mondo occidentale. Lo stesso dolore che prova chi, prima ancora che qui dove è nato, sente le sue radici a Parigi. Luigi Borri, imprenditore senese nato al confine tra Siena e Firenze, toscano fino al midollo, ha vissuto molti anni nella Ville Lumière dove il padre portava avanti l’azienda di famiglia che da Poggibonsi era arrivata anche in Francia. Qui, ancora oggi, Luigi Borri porta avanti gli affari e a Parigi, domani, tornerà per lavoro.
Si torna a Parigi con quale stato d’animo?
“Lo smarrimento. Lo stesso che ho provato mentre, in macchina, ho sentito la notizia alla radio. All’inizio tutto molto confuso poi il quadro che si faceva più chiaro, i numeri delle vittime che salivano, le strade e i luoghi che, mentre ascoltavo la radio, vedevo. Perché quando si conosce così bene ogni angolo di quella zona, ho abitato molto tempo in Boulevard Haussmann, si vive in diretta immaginando ogni dettaglio. Come se a un senese che vive lontano dalla città dicessero che è accaduto qualcosa in Via di Città, per intendersi. I luoghi che ci sono familiari li viviamo ancora di più in certe situazioni. Ma oggi più che mai voglio tornare là, al di là dell’azienda e dei miei dipendenti perché sento il bisogno di andare a salutare gli amici, a parlare con le tante persone con le quali ho condiviso una parte importante di vita. Devo sapere come stanno, ho bisogno”.
Che cosa si aspetta di trovare l’imprenditore che domani arriverà a Parigi?
“Controlli intensificati, questo è normale. Ma la Francia è una nazione con una mentalità del tutto differente a quella italiana. I francesi non stanno a lamentarsi e ad aspettare la Provvidenza, per capirsi. L’idea dello Stato è molto forte, la reazione immediata a tutela dell’incolumità del Paese. Basti pensare ai bombardamenti che sono seguiti subito dopo agli attentati. La Francia è un Paese unito, non come l’Italia che – figlia di tre o quattro mamme che ben sappiamo, nella storia – non è in realtà uno Stato. Quindi, forti di questa sorta di sciovinismo e la decisione di Hollande di chiudere immediatamente le frontiere ne è altro esempio, mi aspetto di trovare una Francia che mette in secondo piano il lavoro e gli affari. Come del resto è normale che sia all’indomani di una simile tragedia. Prima si pensa alla sicurezza del popolo e dello Stato. E credo che troverò un accresciuto senso del dovere da parte dei francesi, anche una maggiore aggressività. Loro, come dicevo prima, sono molto più disciplinati e ascoltano uno Stato che comunque è forte e presente. Cosa che gli italiani non faranno mai”.
Quindi sarà difficile, stavolta…
“Come imprenditore sì, di certo un po’ di scoramento prende. Come uomo, sarà come tornare a casa col dolore e il dispiacere, per me è come se lo avessero fatto all’Italia”.
Cosa succederà per quanti hanno interessi di lavoro in Francia?
“A livello di affari sarà un problema perché è ovvio che se spendi molti soldi in più per la sicurezza sottrai soldi all’economia quindi al lavoro, denaro che da qualche parte va preso e di solito viene preso dal popolo. Quindi dal punto di vista lavorativo sono preoccupato. Tra l’altro proprio a settembre e ottobre si era visto un miglioramento nell’interscambio tra Italia e Francia, sembrava superato il periodo di impasse. Ora ci sarà un completo arresto per gli affari e credo durerà diversi mesi”.

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Dopo l’11 settembre si disse che il mondo non sarebbe più stato quello di prima. Dopo il 13 novembre, l’Europa sarà quella di prima?
“No. Spero anche che l’Europa cambi perché il sistema ha dimostrato di non funzionare, mi dispiace lo abbia detto Berlusconi ma ha ragione. Non c’è una guida. L’idea di un’Europa unita da un punto di vista commerciale e finanziario è giusta ma non funziona se prima non esiste un sentimento europeista. Si rischia solo di fare gran confusione, come sta accadendo. Avremmo dovuto seguire l’iter degli Stati Uniti, per voler essere come loro. Il processo europeista va accelerato riconoscendo però delle linee guida precise, non che l’Europa non si muove se, faccio un esempio, non è d’accordo anche la Bulgaria. Servono guide e linee precise”.
Tra queste guide non potrà esserci l’Italia…
“L’Italia è causa dei propri mali. In questo senso non è mai stato un Paese, una politica poco coerente e soprattutto poco rispettosa del popolo non aiuta certo ad avere ruolo di leadership, non ci rende credibili, è evidente”.
Per tornare al paragone con la Francia, una presa della Bastiglia non sarebbe possibile in Italia…
“No. Qui sono passati troppi dominatori, siamo un Paese di frontiera. Il più bello del mondo ma non ha un senso di unità nazionale. Gli italiani fanno come vogliono, alla fine”.
Quanta la paura di un attentato in Italia? Sarà a Roma?
“C’è, la paura. Ma non credo si possa fare il totoattentato. Certo, per creare la grande notizia devi compiere attentati in luoghi degni di grande notizia. Questo è chiaro”.

Katiuscia Vaselli