Il piccolo Niccolò, il processo e un dolore da rispettare

L’assoluzione dei due medici che presero in cura il piccolo Niccolò Muzzi ha fatto discutere tanto la cittadinanza. Nei bar, sui giornali e sui social in questi giorni non si è parlato d’altro.
Siamo sicuramente con la famiglia in questo momento delicato e terribile, una famiglia che, fra le altre cose, è riuscita a trasformare il dolore in realizzazioni concrete per la nostra città e per il nostro ospedale proprio in nome di quello che è successo al piccolo Niccolò.
Il pronto soccorso delle Scotte è cambiato molto rispetto a quel 13 settembre 2012, vi è un punto di osservazione pediatrica attivo 24 ore al giorno e tante altre novità di cui dobbiamo ringraziare l’associazione Noi per Siena di cui Thomas Muzzi è motore insostituibile.
Ma siamo anche con i medici, riconosciuti non colpevoli all’esito di un processo che ha sviscerato ogni di quel giorno con una perizia che il Giudice ha affidato a professionisti di chiara fama.
Gli stessi erano accusati di aver commesso di errori di omissioni e non di avere deliberatamente ucciso il piccolo, come sembra leggere in alcuni post.
Un processo durato circa tre anni, nei quali sono stati ascoltati numerosi testimoni, consulenti e periti e che ha avuto il merito di analizzare ogni minuto di quelle poche ore che portarono il piccolo dall’ingresso in Pronto Soccorso alla sua assurda morte.
Nella causa penale i familiari si erano costituiti parte civile ma, dopo il risarcimento ottenuto, hanno deciso di rinunciare alla costituzione. Il risarcimento è conseguito ad una transazione fra l’ospedale e la famiglia, a cui i medici, com’è giusto, non hanno partecipato.
Attendiamo di leggere le motivazioni per esprimere un parere serio ed approfondito, ma tanto è al momento. I familiari decideranno in quella sede se chiedere alla Procura di fare appello o meno.
Per il momento sarebbe opportuno evitare inutili e pretestuosi accostamenti alla vicenda David Rossi e cose del genere che avvelenano ancora di più un clima che non ha bisogno di questo per essere avvelenato.
Resta l’amaro per la morte di un bambino di due anni e per una vita negata.