A San Casciano per declinare al femminile il futuro della Somalia

Sono imprenditrici, direttrici di ospedali, intellettuali, ministre, amministrano la cosa pubblica. In trentadue, tutte provenienti dallo stesso Paese, la Somalia martoriata da una guerra civile che dura da ventuno anni. Vogliono dare un contributo importante alla carta costituzionale che nascerà quando finalmente taceranno le armi e torneranno la pace e la democrazia. Per questo si sono incontrate dal 29 giugno al 1 luglio a S.Casciano Bagni, per iniziativa della Rete di Solidarietà di Siena e dell’Associazione per l’aiuto alle donne e ai bambini somali, con il patrocinio degli assessorati alla cooperazione internazionale del Comune e della Provincia di Siena, un convegno animato da Vincenzo Balatti presidente della Rete e da Rahma Mohamed Hassan, somala da molti anni residente proprio nella cittadina termale. E’ stata una “reunion” vivace e appassionata, che ha visto protagonista sia chi lavora tra mille difficoltà nella propria terra, sia chi è stata costretta alla diaspora in Francia, negli USA, in Canada, in Gran Bretagna, e anche in Italia, come hanno testimoniato alcune partecipanti. L’obiettivo principale era redigere un documento politico che sarà presentato nei prossimi mesi al governo somalo, e soprattutto costruire una lobby tutta al femminile capace di farsi valere nel momento in cui saranno stilati gli articoli di legge che stabiliranno le regole della convivenza nella nuova Somalia democratica. I punti cardine di questo impegno sono stati approfonditi nel corso di quattro workshop che avevano come tema il ritorno alla pace, il ruolo delle donne nel prossimo stato democratico, la presenza femminile nell’economia, la rinascita culturale e la diffusione dell’istruzione; una sintesi è stata realizzata nel documento finale del convegno.

 

Ad oggi, ha ricordato Marian Quasim, ministro delle pari opportunità, le donne somale, sulle cui spalle gravano i disagi della guerra e che con grandi sacrifici hanno tenuto insieme le loro famiglie, patiscono discriminazioni enormi, basti pensare che sono scolarizzate solo al 27%, non hanno nessun peso politico all’interno delle tribù che si spartiscono il territorio, possono subire dai loro mariti violenze che la legge non sancisce, non trovano lavoro perché per consuetudine questo spetta all’uomo soprattutto in momenti di grave difficoltà economica come quello attuale; e se ce l’hanno lo perdono proprio a causa del loro sesso, come è capitato a Mina Hassan Mohamed, già direttrice dell’ospedale di Mogadiscio nel periodo più terribile del conflitto. Infine, anche se lo stabilisce la tradizione e non una legge scritta, ha precisato Dahabo Omar direttrice dell’associazione Dallaalo per il progresso della donna, quando restano vedove non possono contare su alcun mezzo di sostentamento: tutti i beni passano ai fratelli del defunto e non possono ereditare neanche se hanno figli a carico.

Ma qualche segnale di speranza si intravede. Le donne somale per loro natura hanno cuore, passione, intraprendenza e la volontà di unirsi per farsi valere, ha ricordato Kadija Mohamed Dirije ministro dell’energia, e lanciano un segnale a tutti i governi del mondo perché si mobilitino in loro aiuto. Concetto ripreso con forza da Nour Hassan Hossein ambasciatore somalo in Italia, che ha ricordato gli antichi legami culturali ed economici nati con la colonizzazione. L’appello intanto è stato raccolto dagli amministratori pubblici del territorio senese. Il sindaco di San Casciano Bagni Franco Picchieri ha assicurato che per la sua amministrazione questo è solo l’inizio di un collaborazione con la comunità somala, Gabriele Berni assessore alla cooperazione internazionale dell’Amministrazione Provinciale e Alessandro Cannamela suo omologo per il Comune di Siena hanno annunciato l’avvio di azioni di partenariato e sostegni concreti. E Giampiero Caporali direttore del Mediocredito di Solidarietà ha illustrato uno speciale progetto di consulenza a favore delle imprese e delle famiglie somale immigrate nel nostro territorio. E’ dal lavoro che nascono le prospettive per un futuro di speranza, e per questo Sareeda Cali, che si è sposata e vive in Trentino, fa la spola con la sua terra d’origine dove ha aperto una scuola di agronomia, alla quale si sono iscritti tanti ragazzi e insieme a loro anche i genitori che cercano di inventarsi una professione. Intanto a Mogadiscio, città un tempo ricca e piacevole ma da troppi anni piombata in un’atmosfera di morte tra attentati, saccheggi, sparatorie e violenze, si scorge la fine del tunnel, secondo il suo sindaco Mohamed Ahmed Nur, anche governatore della regione di Ben Adir: si spara molto meno, l’elettricità è tornata in tante strade, sono stati rimossi e smaltiti rifiuti fermi da mesi, i lavori pubblici vengono realizzati volontariamente da imprese e singoli cittadini, i negozi stanno aperti fino alle dieci di sera. Il 14 febbraio scorso fu organizzata da alcuni movimenti giovanili e dal Comune una festa della gioia funestata purtroppo da un attentato dei miliziani di Al Jhabaab che causò quattro morti. Ora stanno costruendo un monumento a quei martiri e la festa l’anno prossimo si farà di nuovo. Perché la Somalia non si arrende, e le donne sono in prima fila per dare un futuro alle loro famiglie e ai loro figli.